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lunedì 26 luglio 2010

MEMORIE...



Allora cominciò la scalata; e presto diventò una gara.
Il terreno gradualmente si inclinava. Dopo poco si cominciò ad usare le mani insieme ai piedi.
I “duri” andavano veloci, ma rallentavano passo dopo passo. Per quanto potevano essere veloci forti e coraggiosi, la montagna non si sarebbe fatta calpestare per ospitare una semplice gara tra ragazzini.
No la montagna ci mise alla prova.
Lo spuntone proibito era alla fine del bosco dove gli alberi alti e muschiosi lasciavano il posto agli arbusti e le pietre. Dietro allo spuntone cominciava un ghiaione che correva su per l’immensa vetta e ci si nascondeva dietro. Mancava poco allo spuntone. In testa stavano i quattro duri. Andavano su spediti ma ansimavano, qualcuno indietro cadde e rotolò un po’. Io continuavo grattare la terra nera con le mani. Scalpitavo sulla parete quasi verticale come se fosse una questione di vivere o morire. E lo era. La montagna urlava il mio nome e tutto quello che volevo era incontrarla.
Tutta la mia solitudine, la mia inadeguatezza e la povertà di vita diventavano sassi che rotolavano lontano sotto di me mentre aggredivo le prime propaggini del ghiaione. Sentivo solo l’urlo della montagna, alto e forte, antico e imponente. Irresistibile. Ormai ero dietro al gruppo di testa. Respiravo la loro polvere ma non avevano più importanza, io volevo la montagna. Eravamo sotto lo spuntone traguardo. Arrivammo quasi insieme ma io senza dire niente continuai. Attaccai la parete sassosa e cominciai a salire; l’urlo della montagna era distinto, secco pieno di verità. Delle lacrime cominciarono a rigare le mie guance. Quel suono era così bello e animale, aggrappato alla mia anima assopita mi tirava su per quelle rocce bianche.
E le mie lacrime continuarono a scendere, senza singhiozzi o sussulti, scendevano come tributo macchiando la terra bianca e polverosa, come un antico rito; dissetavano la montagna.
I duri erano rimasti a guardare poi avevano inteso la sfida alla loro autorità e si erano messi sulle mie tracce. Segugi dietro alla preda. Provavano a lanciarmi qualche parola di sfida ma io sentivo solo le montagne. La strada era sempre più dura, fredda e spigolosa come se nemmeno il tempo li esistesse. Le nuvole si abbassavano e tutto cominciava ad essere nebbia. Il mondo scompariva. Io nemmeno me ne accorsi. Grattai con più foga con le dita sulla montagna. Non avevo più una meta seguivo solo l’urlo. Poi arrivato su un piccolo masso piatto l’urlo disse di guardare dentro. Io non capivo dove. Dentro di me? Dentro alla montagna? Non aveva senso. Sentii l’arrancare sotto di me stavano arrivando. Vedevo solo un mare bianco di rocce e nebbia, un vento freddo spingeva verso la pianura. Le lacrime erano fatte di ghiaccio adesso, ghiaccio liquido. Quello non era più il mondo che avevo conosciuto, quella era la terra delle montagne, lontana dalla solitudine, dal cemento e dal senso d’inutilità che stava diventando la guida della mia vita.
Quella era la Montagna.
Dalla nebbia spuntò Franco rosso in viso e teso. Unico superstite dei duri e puri.
Allora sei già stanco sfigato?
Lo disse con il fiatone.
Io girai la testa per guardarlo e la montagna parlò
Tornatene da dove sei venuto, non è posto per te questo.
Poi all’improvviso la montagna mi chiamò, mi disse di salire ancora, che ero pronto. E con un balzo mi attaccai alla roccia fredda e cominciai a salire. Franco rimase a terra seduto bofonchiandomi qualcosa dietro che la nebbia inghiottì. Ero pesto, strascicato, colavo dalla faccia. E dentro, dentro c’era solo vita. Mi sentii finalmente libero di vivere. E continuai a salire. In mezzo a tutto il bianco. La cima sopra di me era l’unica cosa che mi rimanesse.
Arrivai dopo qualche ora esattamente sotto di essa. E li l’urlo mi disse che avrei pagato un tributo, che ci avrei lasciato qualcosa. avrei affidato qualcosa alla montagna, e sarei andato ogni tanto a vedere come stava. In cambio la montagna mi avrebbe lasciato il senso della vita, l’Ossigeno la Legge della natura e il Sangue. Mi raggomitolai e aspettai che la montagna desse il suo giudizio.
Restai per lungo semi congelato accoccolato sotto quello che da quelle parti chiamavano “Il nano di pietra”. Un costone di roccia appena sotto alla vetta che si diceva avesse il profilo di un nano imbronciato con la barba. Dissero che addormentarsi sotto quello era pericoloso, perché portava nel mondo della montagna e chi ci andava lasciava per sempre qualcosa li.
Ecco.
Lì ho lasciato quello che rimaneva dell’infanzia. L’ho data in dono alla montagna, e lei in cambio la tiene viva e me la fa vedere quando vado a trovarla. La montagna mi ha dato la linfa e la forza, il coraggio e la paura, mi ha dato speranze e incubi.
La montagna mi ha legato e io l’ho legata a me; ancora dovrò sacrificare sangue, sudore e lacrime però saprò per certo di essere vivo..
Ma questo accadeva tanto tanto tempo fa… WOLF

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